Grandi poteri e grandi responsabilità

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«Un caffè ristretto, grazie» e via così. Inizia una nuova giornata di “ferie-non-ferie”. Nel senso che sono in ferie, ma non sono in ferie. Robe da fare, noia quando non ci sono robe da fare, ansia quando c’è troppa roba da fare. Rilassarsi non fa parte della mia routine quotidiana.
Mi sono svegliato presto quando potevo benissimo restare a dormire e mi girano i coglioni, tanto per cambiare. «Scusa, me ne fai un altro per favore? Sempre ristretto, grazie» e via, il barista esegue e subito mi ritrovo il secondo caffè della giornata sul bancone. Ristretto, come sempre.
Domani torno a lavoro e questo mi rende intrattabile. Vorrei smuovere il mondo, fare cose, viaggiare ma mi sento limitato, intrappolato nelle mie stesse radici, quelle che ho deciso di mettere anni fa, sicuro di fare la cosa giusta. Mai pentito, neanche ora. Ma comincio a sentirne il peso, come è normale che sia.
Finisco il secondo caffè e vado alla cassa, arriva il barista e rimane a guardarmi. «Due caffè ristretti… devo pagare. Me li hai fatti poco fa» dico, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. «Sono già pagati» dice, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Eh? «Eh?» chiedo. «I due caffè ristretti sono stati già pagati» ripete lui, poi indica con la testa dietro di me, mi volto e la vedo. Lei. «Ah. Ecco. Capito. Grazie» balbetto, sorrido imbarazzato poi mi reco da lei, seduta ad un tavolino poco dietro di me.
Mi siedo.
«Mi sei passato accanto senza neanche vedermi»
«Giuro che non t’ho vista»
«Eh, me ne sono accorta. Ma io i caffè te li ho pagati ugualmente»
«Grazie madame, non doveva. Come è gentile!»
«Imbecille».
Ridiamo.
«Due caffè addirittura? Vanno alla grande queste ferie, eh?»
«Vanno una merda»
«Yuhu!»
«Mi giro e rigiro senza concludere niente. Assurdo»
«Sei in ferie cocco, è normale. Devi riposarti. E sarebbe anche ora»
«Mi sono riposato abbastanza, ora non mi reggo in piedi. Sto scoglionato, non mi va neanche di allenarmi»
«Significa che devi riposare. Oh, rilassati»
«Ma non c’è tempo per rilassarsi!» dico, lei mi guarda a bocca aperta. «Stai fuori» dice, «sei in gara per qualcosa e non me ne sono accorta per caso?». Rifletto. «No» dico, «non sono in gara per niente. Ma ho fretta, lo sai come la penso». «E come la pensi? Sentiamo». Silenzio. Come la penso? «Io… oh, ma che cazzo ne so». Fine. Ha vinto lei.
«Ho vinto io» dice. «Sì, sì ok, hai vinto tu» dico. Che palle.
«Stamattina sono passata in fumetteria» dice. La guardo. «Perché?» chiedo mentre lei scoppia a ridere: «per comprare un etto di salame». Cretina. «Per fare cosa secondo te? Per comprare un fumetto» borbotta spocchiosa, mentre io la guardo a bocca aperta: «tu che compri fumetti? E da quando?». «Da oggi. Da stamattina precisamente». Sorrido: «figo».
«Ora sono proprio curiosa di capire cosa ti affascina tanto di questi cosi così colorati»
«Vedrai, ti piacerà. Cosa hai comprato?»
«Sorpresa»
«Oh, fai un po’ come ti pare»
«Mamma mia, Super Acido»
«Esatto»
«Te? Che racconti?»
«Io ho finito ieri sera il gioco di Spider-Man sulla play»
«Se?»
«Se»
«Mh»
«Che?»
«Non mi sembri poi così soddisfatto»
«Dai, su»
«Cosa?»
«A ventisette anni a giocare a Spider-Man»
«A ventisette anni, in ferie senza doversi alzare alle due e mezza, a giocare a Spider-Man» precisa lei.
«Ma che vuol dire»
«Ma vuol dire tutto, bello di casa»
«Mi sento acciaccato, inutile, boh»
«“Acciaccato, inutile, boh”»
«Puoi prendermi in giro quanto ti pare»
«Non ti prendo in giro»
«Ah no?»
«No. Ti riporto semplicemente con i piedi alla realtà»
«Cioè?». Mi si avvicina lentamente, quasi naso a naso, poi sussurra:
«Stai dicendo una marea di cazzate».
«Ti puzza l’alito»
«Non è vero»
«Ok, sto scherzando»
«Non stai scherzando, paraculo. Stai cercando di depistarmi»
«Può darsi»
«Sai chi mi fai venire in mente in questo momento?»
«Chi?»
«Un supereroe»
«Se, va beh»
«Giuro. Un supereroe con il costume strappato»
«Ah ecco, ottimo»
«Oh per carità! Sta’ zitto che sennò sembra che sparo stronzate!» dice, poi apre la borsa, tira fuori un fumetto e me lo mostra: è un fumetto di Spider-Man e nella copertina c’è ovviamente lui, l’Uomo Ragno, con il costume fatto a brandelli. La guardo. «Io non ne capisco niente di fumetti, ma sai perché l’ho comprato?» mi domanda, io scuoto la testa, stordito. «Perché è un figo. Guardalo. Spider-Man, il costume distrutto, il corpo pieno di cicatrici e ferite, un nemico (che non so chi è) che lo sta per attaccare… ma no, Spider-Man non cede, cazzo. Sta lì, in piedi, pugni chiusi, pronto a sparare raggi laser». Deglutisco con difficoltà: «Spider-Man non spara raggi laser ma ragnatele». «Eh, è uguale! Quello che spara spara! Sta lì! Ed è un figo anche se stilisticamente impresentabile. Questo fumetto può essere letto perché Spider-Man non ha mollato, anche se a pezzi». Pausa. «Ma Spider-Man non esiste, scema» dico. «Lui no, ma tu sì» dice. Fine. Ha vinto di nuovo lei.
«Ho vinto di nuovo io»
«Sì, hai vinto di nuovo tu»
«Sono proprio forte eh?»
«Per carità… quindi io sarei Spider-Man?»
«No. Sei meglio di Spider-Man, perché combatti i cattivi senza super poteri»
«Sì, ma ci prendo anche tante di quelle sberle da non ricordarle neanche»
«Eh. Le sberle le prende Spider-Man con i superpoteri, figurati tu comune mortale».
Silenzio. La vedo che sorride.
«No, ti prego, non dirlo di nuovo»
«Ho vinto. Di nuovo. Tre a zero. A casa!» E ride. Ride come la bellezza che è, con i suoi capelli arruffati, le sue lentiggini, le mani che non stanno un attimo ferme quando parla.
«Oh, scemo»
«Eh»
«Ricorda che quando ti senti un rottame, è perché sei appena uscito da una battaglia e chi affronta una guerra uscendone immune e illeso, senza un graffio, o è Superman, o è un vigliacco»
«Per carità! Non voglio essere né Superman, né un vigliacco»
«Appunto. Ma sei un supereroe. Ti torna?». Rifletto. Mi torna?
«Sì dai. Mi torna. Siamo supereroi. Entrambi»
«Sarò la tua Catwoman!»
«Oh ma per carità! Spider-Woman casomai!»
«Sì ok, quello che è, devo ancora leggerlo il fumetto abbi pietà»
«Fammi sapere che ne pensi poi, ci tengo»
«Ma certo, scemo. Tu adesso stai un po’ meglio?»
«Sì dai»
«Vedi? Sei proprio un supereroe»
«Perché?»
«Menti. Spudoratamente. Menti per non far soffrire chi ami. Piccolo stupido sexy supereroe!» e ride, ride di gusto. Cretina.
«Cretina»
«Stupido»
«Ok stop, tanto a offese vinceresti nuovamente tu»
«È il mio superpotere segreto»
«Bella roba. Senti, caffè? Offro io»
«Te ne prendi un terzo? Sei matto?»
«Oh, ho una città da salvare, ho bisogno di energie»
«Tu sei fuori!»
«”Da un grande potere derivano grandi responsabilità”» dico. Lei mi guarda. «Ti prego» supplico, «dimmi che l’hai capita». Lei sorride innocentemente e scrolla le spalle. Non l’ha capita.
«Senti, faccio finta di niente»
«Ecco bravo, rispetta la mia ignoranza in materia e portami ‘sto caffè, eroe»
«Vado di corsa, madame» e vado. Col costume strappato, la maschera a pezzi, i muscoli che fanno male e le gambe che a malapena si reggono. Ma ancora in piedi.
Sì.
Ancora in piedi.

Andrea Abbafati

Io sono Batman

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Un pensiero. Accosto, metto le quattro frecce, scendo e mi guardo intorno. Questa strada non la conosco, eppure la faccio tutti i giorni. C’è qualcosa di strano. Sento di non aver messo tutti i pezzi del puzzle al proprio posto, come invece credevo. Giorno di riposo. Ieri sono stato ad un concerto con il mio gruppo di amici, quelli che speri di avere sempre al tuo fianco soprattutto quando stai bene, per condividere con loro la tua felicità. Mi guardo intorno: sono in aperta campagna, in mezzo ad una stradina poco frequentata, e sto ripensando al concerto di ieri. Eravamo tanti, ballavamo e cantavamo sotto il diluvio universale con i lampi che in lontananza illuminavano Roma. Stavamo facendo quello che in quel momento ci faceva stare bene, o almeno a me faceva stare benissimo. Era tutto perfetto, fino a che un pensiero come sempre mi ha colpito mentre saltavo come un matto: “sei piccolo”. Una voce nella testa, così dal nulla: “sei piccolo”. Sbem. Distrutto. Anche il semplice saltare e spegnere la testa ormai risultava difficile, inutile. Come quando ascolti una canzone a palla e qualcuno ti dice che ascolti musica di merda… le cose sono due: o ti incazzi e lo mandi a quel paese o te ne sbatti le palle e ascolti e canti la canzone a volume ancora più alto. Per un attimo avevo deciso per la seconda opzione: ballare, cantare sotto la pioggia e vaffanculo. Invece mi sono fermato nel bel mezzo del concerto, completamente bagnato con tutti intorno a me che pogavano e si spingevano come dannati. Ho cominciato a pensare, mentre il cantante cantava la mia canzone preferita, domandandomi se qualcun altro lì vicino a me stesse pensando la stessa cosa che stavo pensando io.
Ora sono qui, in mezzo ad una stradina di campagna con l’auto accostata che penso e mi mordo le labbra, incazzato. Ma possibile che non riesco nemmeno a godermi un cazzo di giorno di riposo o un concerto? Penso a chiamare lei, ma no. Stavolta è impossibile, non potrebbe rispondermi. Stavolta me la gestisco da solo. Stringo i pugni, guardo in alto e urlo: «ma perché cazzo non potevo nascere Re Artù?». Silenzio. L’ho detto davvero… ma dovete capirmi: ho ventisette anni, indosso una maglietta che ormai mi sta larga e dei pantaloni corti che sono gli stessi che avevo ieri al concerto, ovviamente lavati. Ho capelli che non mi piacciono, un fisico che non mi piace mai, che una volta è troppo magro e un’altra è troppo massiccio e un naso che sembra rotto, ma soprattutto non ho super poteri, né un destino meraviglioso che mi attende. Cioè, non ho nessuna cazzo di spada nella roccia che mi aspetta da qualche parte, capito? Non pensate anche voi sia una cosa ingiusta? Oh, andrebbe bene anche un martello magico, tipo quello di Thor. O anche un super potere genetico, tipo Superman. Invece no. Non ho neanche una velocità supersonica, faccio sempre ritardo. Non ho tatuaggi, ho paura a farmeli, il ‘per sempre’ mi spaventa. Sono stonato, faccio movimenti goffi per ogni azione e non so ballare. Mi affeziono terribilmente, tanto da essere geloso di chiunque. Dai, come non essere compatito se mi ritrovo in un giorno a caso ad urlare in mezzo ad una stradina a caso incazzato con un dio a caso? Che poi giuro che c’ho provato spesso a somigliare ai miei idoli, o quantomeno agli idoli degli altri. Palestra, corsa, proteine, addominali e piegamenti, ‘sticazzi’ tatuato nell’anima, perché gira voce che il tipo che se ne sbatte di tutto e tutti piaccia. Ma niente… oh, io non sono così, quindi eccomi qui ad urlare da solo in mezzo alla campagna chiedendo a chi di dovere per quale motivo non mi abbia fatto nascere Re Artù. O Thor. O Superman. O anche un supereroe di serie C, non è che avrei disdegnato. Ma qualcuno di figo, qualcuno a cui spetta qualcosa, qualcuno da ammirare e non di cui ridere per le figure di merda che fa.
Pausa. Respiro. Alzo lo sguardo e vedo il cielo limpido che comincia a riempirsi di nuvole.
«Oh» dico, «eh» rispondo, «ma a te Superman t’è sempre stato sul cazzo». Rifletto. «Oh, è vero» ammetto, «mai sopportato. Facile spaccare i culi coi super poteri genetici» puntualizzo. «Appunto» mi dico, «e pure Thor. È praticamente l’unico personaggio cinematografico Marvel che non segui. Quindi, cazzo ti lamenti?». Ho ragione… che mi lamento? E improvvisamente la luce: ho sempre sognato di essere Batman, Robin, Spider-Man che sì, ha i super poteri, ma li ha guadagnati in quanto sfigato cronico. Come me. Ed ecco, finalmente la risposta: ‘sti cazzi. Ma ‘sti cazzi veramente eh… non ho mai avuto la pappetta pronta, ho sempre sgomitato e ho preso cazzotti in faccia per ottenere quello che volevo. Adesso me ne pento? No. Bene, ecco la risposta. Sono Batman, porca vacca. SONO BATMAN! E odio i Superman che hanno già tutto pronto, faccetta bella ripulita, addominali scolpiti, sguardo ammiccante, sorrisetto sicuro. Lotterò per tutta la vita contro la perfezione, perché la perfezione non esiste.
Respiro. Salgo in macchina ma scendo subito. Ho bisogno di sfogarmi e quindi salto, urlo, corro per i prati spaventando le vacche che stanno pascolando. Sono piccolo, ma sto bene. Salto, canto da schifo, ballo e mi slogo una caviglia, corro e mi scoppia il cuore. “Sei piccolo”, lo so. Ma ‘sti cazzi. “E sei anche volgare”, lo so. Ma ‘sti cazzi. “E ce l’hai sempre con tutti, stai sempre incazzato”, vero. Ma ‘sti cazzi.
Corro. Salto. Ballo.
Sono Batman.
Urlo. Canto. Rido.
Sono Batman. Ho la Batmobile.
Torno alla macchina, fiero, orgoglioso, calmo. Ho tutto quello che volevo, tutto. Devo solo sforzarmi un po’ di più, non avendo una spada magica e un mago che mi consiglia. Improvvisamente mi squilla il cellulare. È lei. «Oi? Come va? Che fai?» domanda. “Che fai?”, basta una domanda stupida per farmi stare meglio. Ho tutto. «Tutto bene, tutto alla grande mia dolce Catwoman!» urlo. Silenzio, la sento sospirare, «sei ubriaco, vero?» mi domanda ed io scoppio a ridere. «Non sono ubriaco scema, sono Batman. Non fare domande. Ti butti dal grattacielo con me?» domando, «ma se ci buttiamo ci sfracelliamo, cretino. Non sarebbe meglio essere Superman e Supergirl?», «NO!» la rimprovero, «siamo Batman e Catwoman e usiamo i gadget speciali per atterrare morbidamente» puntualizzo. Silenzio. «Ok, Bruce» dice lei, «ci vediamo stasera e andiamo a liberare Gotham City?» domanda, «certo» rispondo, «ciao scemo» e riattacca.
Ho tutto. Io ho tutto. Sono Batman. Sono Batman!
Salgo in macchina, giro la chiave.
Giro la chiave.
Giro… giro la chiave. Niente, la Batmobile non parte. Scendo, chiudo lo sportello e mi guardo intorno, scocciato, poi improvvisamente eccolo, lo vedo: il Superman di turno che sfreccia come un matto col suo mantello rosso, mi guarda, sorride maligno e soddisfatto e se ne va, lasciandomi lì dove mi ha trovato, da solo, nel mio piccolo.
‘Sticazzi.

Andrea Abbafati