«Oi?»
«Oi»
«Finalmente. Ti ho fatto tre chiamate, pensavo fosse successo qualcosa. Sei sparito. Tutto ok?»
«Sì… sto un attimo incasinato in realtà… prima non potevo rispondere, scusa»
«Ti richiamo dopo? Tutto bene? Che è successo?»
«No, no tranquilla, ne sono uscito. Nulla di grave, dovrei aver risolto»
«Ne sei uscito da cosa? Mi stai facendo preoccupare»
«Senti, io te lo dico ma tu non ridere, ok?»
«Ma certo… spara…»
«BANG!»
«Oh, hai rotto i coglioni con ‘sta battuta tutte le volte! Io sono preoccupata e tu giochi?»
«Dai, scusa! Ok, vado… allora vado»
«Eh, vai…»
«Mi sono perso».
Silenzio.
Tanto silenzio. Sento solo il rumore del furgone sul quale sto posando le chiappe ma dal vivavoce del cellulare niente.
«Oh? Sei caduta?»
«Che significa che ti sei perso?»
«Cioè, non mi sono perso… nel senso… mi sono distratto, ecco»
«Ti sei distratto»
«Sì, mi sono distratto»
«Stai facendo il giro di consegna di Roma, giusto?»
«Sì, perché?»
«Lo fai da quattro anni ormai, no?»
«Quasi cinque in realtà, ma perché?»
«E ti sei perso?»
«No, ferma… cioè… non mi sono perso, mi sono distratto»
«Ti sei distratto»
«Oh Gesù… ho sbagliato strada, ok?»
«Hai sbagliato strada»
«Mi stai sul cazzo quando fai il pappagallo»
«Ma brutto fesso che non sei altro, mi ci fai capire qualcosa? Che significa che hai sbagliato strada?»
«Oh senti, non se ne può più… ti dico tutto e via»
«Hallelujah»
«Ho preso il Raccordo al contrario».
Silenzio lunghissimo.
Lunghissimo.
Lunghissimissimo.
«Sei caduta di nuovo?»
«Cioè fammi capire… hai preso il G.R.A. contromano?»
«NO! Ma che sei scema? Ti pare?»
«E allora che intendi con “al contrario”, scusa?»
«Intendo che l’ho preso direzione Firenze invece che direzione Napoli. Mi sono fatto cinquanta minuti in più ma sono quasi arrivato. Da ritiro patente proprio. Mi è pure impazzito il navigatore e non sapevo che cazzo fare. Sono andato tipo in crisi e quando sono per strada e vado in crisi non riesco a trovare nemmeno la via di casa mia grazie al mio meraviglioso senso dell’orientamento. I colleghi sicuro mi sfotteranno a vita».
Silenzio.
Ho come l’impressione che non saranno soltanto i colleghi a sfottermi a vita.
«Oh? Beh? Non dici niente?»
Ride. Scoppia a ridere dall’altra parte del telefono.
«Bene. Grazie. È sempre bello sentirsi capiti»
«Oddio scusa… scusa, scusa, SCUSA!! È che… boh… SCUSA!». E ride. Di nuovo.
«No ma lo capisco, figurati. Ora scusa ma metto giù che già ho l’orgoglio ferito, ci manchi solo tu a prendermi per il culo»
«No, fermo! Non ti sto prendendo per il culo, scemo! È solo che è una situazione buffa… che ti frega dei colleghi? Non è successo nulla di grave, hai soltanto sbagliato strada… pensi che a loro non capita mai?»
«Boh. Di sicuro sono bravi a non farlo notare»
«Che è decisamente diverso dal “non sbagliare mai”. Non trovi?»
Sorrido.
«Già»
«Comunque… come mai eri così distratto? Cosa gira in quella testaccia piena di cose? A che pensavi, fesso?»
«A te».
Silenzio. Questo sconosciuto amico.
«Ah. Sono fonte di distrazione quindi. Bene»
«Dai, scema… hai capito che intendo»
«Più o meno… quindi mi pensavi?»
«C’è un momento in cui non ti penso, secondo te?».
La sento che sorride.
«Mi pensi troppo evidentemente, scemo. Facciamo che quando vedi che pensandomi ti perdi nelle tue cose e nei tuoi pensieri mi chiami e ti rimetto sulla retta via, ok? Che dici, può andare?»
«Sì, credo possa funzionare. Bella idea!»
Ridiamo.
«Senti, piuttosto… come è andata la partita di basket, ieri sera? Poi non ci siamo più sentiti che sono crollata sul letto e non ho nemmeno messo la sveglia»
«Mh. Bene, dai»
«Ecco fatto. “Bene, dai”?»
«Sì, cioè… è andata bene. Ho giocato uno schifo ma stavo fisicamente e psicologicamente a pezzi quindi boh, forse è per quello»
«Posso venire a vederti giocare qualche volta?».
SBAM. Silenzio.
Stavolta è colpa mia.
«Oh? Sei caduto?»
«No, no… sono qua»
«Beh? Se non vuoi che vengo non è un problema eh!»
«No, ma scherzi? Cioè… ammetto che è una cosa che non ho mai fatto»
«Non ti sei mai portato una ragazza che ti piace alla partita di basket? Serio?»
«Non c’è mai stata una ragazza che mi piacesse come mi piaci tu interessata a venire a vedermi giocare a basket, è diverso»
«Ah! Beh… tadannnn! L’hai appena trovata!».
Scoppiamo a ridere nello stesso istante. Piccolo silenzio.
«Allora? Andata?»
«Certo. Assolutamente. Andata!»
«Senti ma… non è che ieri hai giocato uno schifo perché mi pensavi, no?».
E ride. Di nuovo. Ride che è una bellezza. Ride una risata senza pensieri. Ride una risata pulita, pura, bella.
«Chissà. Potrebbe essere. Ammetto che un po’ t’ho pensata tra un terzo tempo e l’altro»
«Mi ti immagino troppo a giocare a basket, tutto sudato che imprechi perché pensi di poter giocare meglio di quanto stai facendo».
Sorrido.
«Sì, più o meno sono così»
«Dovresti accettare il fatto di non essere perfetto ogni tanto. Dovresti sorridere dei tuoi errori ma soprattutto dei tuoi limiti. Dovresti essere fiero di ciò che sei e di ciò che stai facendo»
«Dici?»
«Dico, bello mio. Sei merce rara di questi tempi».
Silenzio. Penso.
«Già. Se lo dici tu… mi fido»
«E certo che ti fidi… vorrei vedere!»
«Oi, vedi che io sono arrivato… confermato per questa sera allora? Ci vediamo?»
«Certo che sì bello mio. Ci vediamo a ora di cena sul corso, facciamo una lunga passeggiata come al solito finché non sveniamo e poi ci mangiamo una cosa, che dici?»
«Dico che è perfetto, scema»
«Alla grande allora, scemo! E mi raccomando non perderti durante il tragitto!»
«Vaffanculo!».
Ride. Ride tantissimo.
«Come vuole, sir! Dai, gioco! Ci vediamo stasera… e fammi sapere quando fate la prossima partitella che vengo a fare il tifo e a tirarti la Gatorade in faccia quando avrai sete!». E mette giù, tra una risata e l’altra.
Avrei voluto dirtelo, ma pensavo fosse fuori contesto. Non ho bisogno di bevande colorate o di robe varie per aumentare la prestazione. Mi basta sapere che da qualche parte ci sei te e che faccio parte di un briciolo dei tuoi pensieri. Pensarti, sperarti, è questo che mi dà energia. Tipo che dopo la partita vado al bar e:
«Una bottiglia grande di Lei, grazie»
«Prego?»
«Ehm… una bottiglia grande di Gatorade, grazie».
Mi scombini l’esistenza e i modi di fare. Mi rincoglionisci.
«Un cornetto macchiato freddo e un caffè integrale con miele, grazie».
Sei la colazione perfetta. Il pensiero energizzante quando sono stanco. Fare errori e figure di merda non è mai stato così divertente da quando ti conosco.
Risata dopo risata, passeggiata dopo passeggiata mi sono reso conto di una cosa preziosa: sei tu il mio sport drink preferito.
Andrea Abbafati