Sono le sei e fa freddo. La notte se ne sta andando e io ogni tanto mi ritrovo a pensare a te alternando i tuoi occhi a qualche battuta del copione nuovo che sto studiando. Ne son successi di casini ultimamente, ma sono rilassato. Tranquillo. L’atmosfera mi aiuta.
Sono sul furgone, sto lavorando. Dallo stereo esce musica rap direttamente dalla mia pennetta USB… roba troppo confusionaria per una mattina così. Stacco e imposto lo stereo su ‘radio’. Stanno passando un tormentone estivo. Meglio di niente.
Sul sedile del passeggero fa la sua bella presenza una raccolta di testi teatrali di Benni tra i quali fa capolino prepotentemente “Il Dottor Divago”, uno dei miei pezzi preferiti. Ecco, mi sento come lui in questo preciso istante. Solo che no, fuori non piove. Ma tu non ci sei.
Potrei chiamarti ma già so cosa mi diresti: «ehi», e io «ehi. Scusami se ti ho svegliata» e tu mentiresti spudoratamente «ma scherzi. Ero sveglia». Piccola bugiarda tradita dalla tua stessa voce assonnata. Ma nonostante il sonno di entrambi staremmo le ore a sentirci respirare, io che ogni tanto scendo e risalgo dal furgone e tu sempre lì, in attesa. Perché è questo che fai: attendi.
Ma non ti chiamo.
Perché non sarebbe giusto.
Perché non vorresti ascoltarmi. O forse sì.
E poi devo lavorare.
Gli occhi mi cadono su un’alba spettacolare ma non riesco a fotografarla in tempo. Dai, lo sai che non uso il cellulare mentre guido. E’ pericoloso. Quindi mi fermo in un piazzale vuoto e scatto una foto ad un altro pezzetto di alba assolutamente diverso da quello di prima ma comunque bello. Potrei tornare indietro e fotografare quel tratto meraviglioso che come un dipinto mi ha accecato gli occhi ma sarebbe un’incoerenza pazzesca ed imperdonabile. Ho scattato una foto per te, che mi hai insegnato a non guardarmi indietro, ad apprezzare quello che ho adesso… non avrebbe senso tornare indietro per immortalare qualcosa che reputo più bello. Va bene così. Ci accontentiamo di questo pezzo di alba oggi, ok?
Metto in moto nuovamente il furgone e mi rimetto in cammino. Avevo lasciato il volume della radio a palla e quindi mi prende quasi un colpo quando la nuova canzone trasmessa parte in modo violentissimo. Che spavento! Penso a come avresti reagito tu, cominciando a dare piccoli calci a terra come una bambina arrabbiata perché una piccola paura improvvisa le ha buttato a terra l’elmetto da guerriera, e sorrido. «Che ridi, scemo?!» mi urleresti tu, «niente!» risponderei io e continuerei a guidare trattenendo la risata più grande del mondo.
Pausa. Ecco. Questa mattinata la chiamerò “Pausa”. Pausa a tutto e da tutti. Pausa da te, ti lascio dormire. Per questa volta mi accontento di immaginarti ma domani ti chiamo sicuro. Alle quattro. Domani ti chiamo alle quattro, appena sveglio. Sai che meraviglia? Entrambi assonnati, rincoglioniti dal sonno ma felici di sentirci. Probabilmente.
Pausa. Oggi sono in pausa. Spengo lo stereo. Si sente qualche grillo che canticchia fuori, mentre il furgone sfreccia piano per le strade. Si, piano. Dai, lo sai che non corro per strada. E’ pericoloso.
Pausa. Oggi metto in pausa. Il rumore. L’amore. La rabbia. Il rancore. I dibattiti. Lo stomaco che fa male. La dieta. Il senso di colpa per averla già infranta ieri, la dieta. Il mal di testa. Oggi metto in pausa anche lo studio del copione.
Squilla il telefono. Sei tu.
«Ehi scemo! A che punto stai?». “Ancora in alto mare bella mia. Non sono nemmeno a metà giro” dovrei dire, «buongiorno bella mia! Quasi a metà giro. Come mai già sveglia?» chiedo. Mi hai insegnato tu a guardare sempre positivo. «Ho dormito una merda». “Linguaggio!”, «linguaggio!». «Dai, ci manchi solo tu che mi fai la predica di prima mattina! Volevo solo sentirti, penso che andrò a farmi una doccia». “Lava via ogni cosa, bella mia. Tranne me”. «Perfetto. Ci sentiamo quando finisco, ok? Colazione insieme?» propongo. «Colazione insieme!» ripete lei, poi mette giù.
Pausa. Oggi sono in pausa. Non esiste niente, solo la strada. E la percorrerò tutta, fino alla mia destinazione.
Pausa. Oggi metto in pausa. Oggi vado piano, mi concedo un respiro in più. Accendo di nuovo la radio, stanno passando la pubblicità. Sorrido.
Pausa. Oggi pausa. Tutto tranquillo. So per certo che stavolta sì, stavolta andrà tutto bene.
Andrea Abbafati