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«Mi sa che mi è tornato il blocco dello scrittore»
«Sì?»
«Sì»
«Da che lo capisci?»
«Mi metto a scrivere ma non scrivo. Mi fisso sulle parole senza riuscire a scegliere quella giusta»
«Magari sei solo stanco»
«È blocco dello scrittore»
«E va bene, è blocco dello scrittore. E quindi?»
«Quindi che?»
«Quindi che fai? Aspetti che passa o ti decidi a scrivere e basta?»
«Ma se ti ho detto che…»
«Sì, ho capito. Hai il blocco dello scrittore»
«Eh»
«Però nemmeno puoi arrenderti ogni volta che non hai nulla da scrivere. Che ne so. Cerca ispirazione»
«Ma l’ispirazione non è una roba che trovi così, per strada, a caso»
«Secondo me l’ispirazione aspetta solo di essere scovata. O costruita»
«Se, ciao»
«Pensaci»
«A che?»
«All’ispirazione. Pensaci. Per esempio: ultimamente, una cosa che fai spesso?».
Penso. Mi vengono in mente tremila battute sconce che decido di non dire. La guardo. I suoi occhi mi fissano nell’anima. Porca troia. È lei la mia ispirazione.
«Una cosa che faccio spesso» ripeto. «Sì» dice lei, «quando sei fuori».
«Quando sono fuori?». «Sì. Quando sei in giro. A lavoro. In macchina. Ovunque».
«Ah, be’… ultimamente quando sono in giro regalo precedenze come se non ci fosse un domani»
«Precedenze?»
«Sì. Stamattina per poco non vengo tamponato perché mi sono fermato di botto ad una rotatoria per far passare un vecchietto»
«Mh. Non intendevo “una cosa che fai spesso per farti uccidere”, ma almeno è un inizio. E perché regali precedenze come se non ci fosse un domani?»
«Mi fa stare bene. E anche lampeggiare per ringraziare quando poi per ringraziarmi tirano fuori la mano dal finestrino»
«Cioè… ringrazi per un ringraziamento?»
«Sì. Tecnicamente sì»
«E quindi lampeggi»
«E quindi lampeggio. Quando invece la precedenza la regalano a me metto le quattro frecce»
«Le quattro frecce?»
«Sì. Si usa spesso all’estero ma qua in Italia ovviamente arriviamo sempre tardi, come i treni»
«E come funziona?»
«Funziona che attivo le quattro frecce per qualche secondo per ringraziare e quello dietro mi lampeggia per farmi capire che ha capito. È tipo un “prego! Non c’è di che!”»
«È strana ‘sta cosa»
«Già».
Mi guarda. La guardo. «Che c’è?» chiedo.
Ride.
«Niente, niente. Pensavo a te che ti incazzi perché quello dietro ti suona col clacson mentre ti fermi di botto in mezzo alla rotonda»
«Divertente».
Scoppia a ridere.
«Troppo!».
Mi sdraio stizzito sul pavimento del terrazzo.
«Entriamo?» mi chiede. «Fa freddo. Siamo a febbraio e noi siamo fuori come se fosse agosto»
«Tu vai, io ti raggiungo tra poco».
Si stende al mio fianco.
«Se tu resti, io resto».
Porca troia, è proprio la mia ispirazione. Quella preferita di sicuro.
«Offro i caffè» dico improvvisamente. Sento che si volta verso di me, senza guardarla.
«Offri i caffè?»
«Se»
«A chi?»
«Dipende»
«Da cosa?»
«Ma perché?»
«Perché mi interessa»
«Non so da cosa dipenda. Lo faccio e basta»
«E so anche il perché»
«Perché mi fa stare bene»
«Ah! Lo sapevo!».
Questa volta sono io a voltarmi verso di lei. I suoi capelli lunghi le cadono sul volto, coprendole l’occhio destro. Glieli scosto con delicatezza. Sorride ed apre leggermente la bocca per dire qualcosa.
«Basta che non finisci per rimetterci» dice.
«Rimetterci?»
«Be’, sì. Se cominci ad offrire caffè a tutti…»
«Non offro caffè a tutti. Solo a chi penso li meriti»
«Sì, sì, per carità, ma…»
«Non ci si rimette mai quando si fa qualcosa che ti fa e fa stare bene».
Boom. Stesa. Mi guarda con il sorriso ancora stampato sul volto e la bocca ancora aperta. Quel sorriso un po’ ingenuo e forte che le scopre i denti bianchissimi.
«Ma sei proprio un bravo ragazzo allora!»
«Non sei divertente»
«Non voglio essere divertente. Sono sincera e basta».
Mi si avvicina leggermente. «Un premio per te» dice, poi mi bacia.
Le sue labbra ed il suo sapore. I brividi che mi passa. I capelli che si insinuano tra le nostre labbra.
Mi stacco un po’ troppo violentemente.
«Che c’è?»
«Ho l’ispirazione!»
«Ti è arrivata?»
«Proprio adesso!»
«Forte! Vedi che funziona cercarla?»
«L’ho cercata?»
«L’abbiamo cercata, sì»
«Nah. Non credo. L’hai sempre avuta tu tra le labbra. Dovevi solo darmela».
Di nuovo un sorriso, e la bocca socchiusa.
Mi alzo.
«Entriamo?»
«Certo!».
Si alza. Mi lancia velocemente un bacio a stampo, poi mi guarda facendomi segno di entrare. Mi scosto per farla passare.
Lei capisce e scoppia a ridere mentre le indico la porta.
«Prego, prima tu!».
Andrea Abbafati