Squilla il cellulare.
«Oi»
«Oi»
«Come stai?»
«No comment»
«Ma come “no comment”?»
«Eh, davvero, no comment»
«Fammi indovinare: ti girano i coglioni»
«Mamma mia lascia stare»
«Figurati se non ti conosco bene. Dai, che hai?»
«Ma che vuoi che abbia? Niente. Evidentemente non mi sta mai bene un cazzo»
«Dai rincoglionito, dimmi. Che hai?»
«Ma niente, che ho? Mi girano le palle che devo essere sempre io quello che corre dietro alla gente, che cerca di mettere le pezze per gli errori degli altri, che si alza la mattina già con l’ansia»
«Ma tu ti alzi sempre con l’ansia»
«Eh, meglio ancora»
«Dai scemo rallenta, non mi ci fai capire niente così»
«MI SONO ROTTO I COGLIONI»
«Ecco, perfetto, chiarissimo»
«E passa le ore allo specchio perché non ti piaci e speri che da un momento all’altro possa cambiare qualcosa, allenati tutti i giorni fino a farti venire la nausea, stai attento a mangiare, cerca di apparire forte davanti agli altri, oh ma vaffanculo»
«Ollé!»
Prendo fiato. Sento lei che attende dall’altra parte della cornetta.
«Calmato?»
«No»
«Vai, continua»
«Certe volte vorrei essere nato bullo. Non mi vergogno ad ammetterlo. Almeno la gente mi avrebbe rispettato, nocche spappolate, una croce tatuata in fronte, la fedina penale sporca e via, che tanto non me ne sarebbe fregato un cazzo»
«Ma non avresti avuto me. Anzi, probabilmente mi saresti stato sul cazzo».
Silenzio.
«Noi facciamo parte dei buoni, scemo. Io non voglio un cattivone a proteggermi»
«Tu non hai bisogno di essere protetta»
«Tutti hanno bisogno di essere protetti. È un bisogno innato, ce l’abbiamo nel sangue».
Silenzio. Mi calmo.
«Comunque ho visto ieri che la mia ex si è sposata»
«Quella che ti ha trattato di merda?»
«Se»
«Pensa che sfiga che si è preso il marito».
Rido.
«Non è ora di dimenticarselo ‘sto passato, ciccio?» domanda. Già, non è ora di dimenticarselo ‘sto passato, “ciccio”?
«Spiegami come si fa. Pagherei per svegliarmi la mattina con meno rancore e rabbia repressa»
«Non so come si fa, funziona come con tutte le cose secondo me: basta non pensarci»
«Eh, la fai facile tu»
«No, in realtà è difficilissimo. Però credo sia fondamentale rendersi conto di essere nel presente, che ormai il male che ci hanno fatto è passato, andato. Dai, non cerchiamo vendetta noi, siamo i buoni»
«Quindi dici che cerchiamo giustizia?»
«Nemmeno»
«E allora che cerchiamo?»
«Serenità».
Serenità. Resto un attimo in silenzio, mentre peso il potere di quella parola: serenità.
«Ci sei?» chiede
«Sì» rispondo
«Fottitene. Amen. Auguri e figli maschi»
«Ma guarda che mica mi manca eh»
«Ma lo so scemo, ti conosco. E’ questo il punto: ti conosco troppo bene»
«Cioè?»
«Cioè so che dai importanza a tutto, soprattutto alle piccole cose, ai piccoli particolari»
«A proposito di piccoli particolari»
«Eh»
«Quando sono andato a Milano ho fatto caso a una cosa durante la visita al Duomo»
«Racconta»
«Era pieno di piccoli particolari. Ogni cosa. Le statue, le torri, anche gli scalini, tutto scolpito con cura»
«E questo cosa ti ha fatto capire?»
«Che tutto è importante affinché qualcosa venga bene. Anche quella più piccola accortezza che magari nessuno noterà».
Improvvisamente l’illuminazione.
«Ecco perché mi incazzo per tutto» dico. «Perché ci tengo, perché fa parte del mio carattere. Sono piccoli particolari: incazzarsi per la mancanza di accortezza che la gente ha verso le piccole cose. Ecco, mi incazzo per questo»
«Ha senso» dice lei
«Mi incazzo perché se tutti facessero attenzione alle piccole cose, ai piccoli particolari, tutto sarebbe migliore. Più bello, soprattutto, ma più efficiente, meno doloroso»
«A che piccoli particolari ti riferisci?»
«Ad ogni cosa. Ai sorrisi, agli abbracci, ai ‘ti voglio bene’, ai ‘come stai?’ porca di quella puttana»
«Giusto, porca di quella puttana!» fa coro lei e ride, ride di gusto.
«Che ridi?»
«Rido perché sei puro, pulito, trasparente. Un bambino»
«Odio essere visto come un bambino, lo sai»
«Sì, tu vorresti esser visto come un supereroe. Uno che mena, uno forte, duro, incazzato col mondo»
«Più o meno»
«E lo sei. Sei forte. Anzi, sai cosa? Non sei solo forte, hai anche coraggio. Tanto»
«Tu dici?»
«No, non dico. Lo so»
«Mh, speriamo»
«Tanto lo so che non mi credi»
«Ti credo. Ci provo. Provo a crederti»
«Sforzati…»
«Promesso. Oh, comunque ho fatto un salto alla mostra di Harry Potter, ti ho comprato una cosa»
«Serio?»
«Sì. Gelatine Tuttigusti+1»
«Mio Dio, ti amo»
«Eh lo so, lo so, so farmi volere bene. Se ci sei oggi ci vediamo e te le do»
«Certo, piccolo dolce Grifondoro. E magari una sera ci organizziamo e ci spariamo tutta la saga»
«Buona idea, anche se dovrò lottare con i ricordi dell’ansia che avevo da ragazzino quando avevo il terrore di essere un Babbano condannato a veder partire mio fratello e qualche mio amico per Hogwarts dove sarebbero diventati Maghi potentissimi».
Ride.
«Eri un macello anche da bambino. Proprio non riesci a vederti protagonista per una buona volta, eh? Perché non potresti essere tu l’eroe che ribalta la situazione? Il Mago che sconfigge il male? Perché sempre gli altri?». Silenzio. Ci penso.
«Domanda senza risposta, baby» butto lì.
«Figurarsi» dice lei.
«Va beh, allora quando ci vediamo?»
«Anche adesso, se mi apri»
«Eh?»
«Sono sotto casa tua. Lo so, sono una ninja. Se scendi mi dai le Gelatine e io ti do il cornetto integrale che ti ho portato»
«Ma te la sei fatta a piedi?»
«Sì, passeggiatina mattutina»
«Ma sta piovendo, rincoglionita»
«Lo sai che le faccio volentieri queste cose per te, stronzo»
«Perché?»
«Perché credo sia importante dare importanza ai piccoli particolari».
SBEM. Steso.
«Oh, mi apri? Diluvia!»
«Arrivo»
«Oh»
«Eh»
«Basta stare giù, ok? Non hai bisogno di essere un Mago per essere un eroe»
«Spero davvero tu abbia ragione»
«Oh hai rotto le palle, promettimi che ci penserai ogni volta che starai giù. Promettimelo, poi mi apri, sennò non salgo»
«Va bene, va bene. Promesso, ok? Promesso!»
«E bravo che sei. Ora puoi aprire»
«Apro»
«Apri!».
Sorrido. Lezione compresa.
Andrea Abbafati