Alba facendo

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Squilla.
Leggo sullo schermo il nome di un collega.
Rispondo.
«Ao»
«Ao, ‘ndo stai?»
«Ecco sto tornando, ho fatto poco fa l’ultimo cliente. Arrivo»
«Sbrighete che forse devi partire per il secondo giro o m’aiuti a prepararlo almeno»
«No problem, arrivo. Oh, avvisa gli altri che porto i caffè»
«Ammazza e che è successo? Tu che offri?»
«Ma se offro sempre, su. Dai, arrivo»
«Vabbè… sbrighete me riccomanno, coglione»
«Ecco mo’ faccio tardi apposta, deficiente».
Il collega sbotta a ridere. Chiudo la chiamata. La strada è vuota, proseguo tranquillo sul furgone, gli occhi stanchi che non si chiudono solo grazie ai vari caffè presi.
Squilla di nuovo.
Neanche leggo il nome sullo schermo.
«Oh, hai rotto il cazzo, t’ho detto che arrivo… aspetta no?».
Silenzio.
Troppo silenzio.
Mi viene un dubbio ma non faccio in tempo a guardare sul display che…
«Oh, ma che problemi hai?».
È lei.
«Oh, scusa… credevo fosse il collega di prima! Scusa scusa scusa» spiego esterrefatto.
«Grazie del buongiorno eh, non dovevi» dice lei, ma sento che è divertita.
«MA BUONGIORNO! Comunque scusa davvero… è che pensavo mi avesse richiamato per rompermi le palle come fa spesso»
«Perdonato. Che fai? Finito il giro?»
«Sì. Forse riparto per il secondo, giusto il tempo di prendere il caffè ai colleghi e torno alla base»
«Offri anche oggi? Ultimamente ti prende spesso o sbaglio?»
«Vero. Non so perché, mi fa piacere. Poi sono giorni di festa, lavoriamo molto, un po’ di caffè in compagnia al ritorno dal giro è quello che ci vuole»
«Mamma mia, ragioni proprio come un leader!»
«Se… peccato che ho funzioni totalmente diverse da quelle di un leader»
«Ebbè, che fa? Ad averli io colleghi come te»
«Carini, intelligenti e simpatici?».
Ride.
«Certo… ma soprattutto disposti ad offrire il caffè!»
«Figurarsi» sogghigno.
Sposto d’istinto lo sguardo a sinistra sullo specchietto laterale: strada libera, nessuno neanche dietro.
«Senti… volevo chiederti una cosa»
«Spara»
«Bang»
«Vaaaaffanculo!».
Ride.
«Ti guardi mai indietro?» domanda.
Sorrido, prendo aria e chiedo: «perché?»
«Perché sì. Chiedo. Quindi? Ti ci guardi ogni tanto indietro o no?»
«L’ho appena fatto» confesso.
«In che senso?»
«Nel senso che mi sono appena guardato dietro attraverso lo specchietto»
«Scemo ma non intendo… aspe’, forse sì. Che hai visto?»
«In che senso?»
«Dietro di te, adesso, cosa c’è?»
«Niente. La strada vuota»
«E poi?»
«L’alba»
«L’alba?»
«Sì. Si vede l’alba lontana. Il sole che illumina in lontananza»
«Mica male…»
«È un bel panorama, sì, ma non posso fermarmi a guardare… perché?»
«Non hai tempo, ve?»
«Eh, no… devo tornare al forno per caricare il secondo giro… ma perché? Che è successo?»
«Niente. Pensavo se ogni tanto, come per esempio oggi che è la fine dell’anno, valesse la pena di guardarsi indietro per vedere cos’è successo a quello che ci siamo lasciati alle spalle».
Silenzio. Conosco i suoi silenzi. Conosco questi suoi silenzi. Niente di buono.
«Ascolta… se vuoi dico che ho un’urgenza e non posso fare il secondo giro, passo da te e…»
«Ma neanche per sogno» mi interrompe, «fai il giro, ma scherzi? Volevo solo sapere»
«Sicura?»
«Senti… ti è piaciuta subito l’alba?» chiede. Mh.
«In che senso?»
«Quando ti ho chiesto cosa ci fosse dietro di te mi hai risposto semplicemente “la strada vuota”»
«Eh… quindi?»
«Quindi, perché non “l’alba e la strada vuota”? Perché solo “la strada vuota”?».
Bella domanda.
«Perché in questo momento mi è utile la strada… senza di lei non potrei andare da nessuna parte»
«E anche perché fa piacere vedere quanta strada hai percorso, no? D’altronde hai finito il giro… ne hai fatta di strada da ieri notte… cazzo ti frega dell’alba? Giusto?»
«Oh, ma che hai? Certo che mi frega dell’alba… ma ho notato prima la strada, ok?»
«Ok… scusa. È che mi stai dicendo esattamente quello che avevo paura di sentire. E la cosa non mi va giù, perché significa che ho ragione»
«Ovvero?»
«Ovvero che quello che c’è dietro non importa quanto sia bello. Ormai siamo andati avanti, quindi andiamo avanti. Conta la strada fatta, non il panorama che ci siamo lasciati alle spalle».
Niente, oggi non è giornata.
«Ferma, pausa, respira. Non ho detto questo»
«No?»
«No. Assolutamente. L’alba era bella… è… l’alba è bella… sono io che ero troppo distratto per vederla. Ero troppo concentrato… sulla strada da percorrere, tanto da non godermi le cose semplici e belle».
La sento riflettere. Il suo silenzio parla. Il suo cervello fa rumori impressionanti quando viene messo sotto sforzo. La mia stanchezza sparisce, annientata dalla sua silenziosa curiosità.
«Stai zitta?» chiedo. La sento sogghignare.
«Ti piacerebbe»
«Proprio no» dico sinceramente.
«Mi hai fatto riflettere»
«Non è da me, eh?»
«Non ho detto questo, idiota»
«Beh, solitamente sei te che mi tiri su, aiutandomi ad aprire gli occhi. Oggi è il mio turno a quanto pare»
«E ti dispiace?»
«No. È una sensazione veramente forte. Meglio del caffè»
«Quindi secondo te vale la pena, giusto?»
«Guardare indietro dici?»
«Esatto…»
«Sì. Ne vale la pena. Specialmente quando accadono cose brutte davanti a noi. È solo guardando indietro che possiamo ricordare chi siamo. Come quando guardi qualche tua vecchia fotografia… ti vedi crescere pian piano, forte delle esperienze che hai affrontato qualche foto prima. È tutto così. È sempre così. È l’alba che illumina la strada che percorri e il tramonto che ti obbliga a risposare, anche quando è dietro di te. Pochi cazzi». Chiusura poetica.
«Sei un poeta, cocco»
«Lo so»
«Quindi faccio bene a guardarmi ogni tanto in foto, anche se ci passo delle ore sprecando tempo?»
«Ma non sprechi tempo… perché sarebbe tempo sprecato? Cosa cambia dal guardarsi in foto o allo specchio? Sei tu, anche se eri tu. Un albero senza radici non conta un cazzo»
«Mamma mia, mi fai eccitare così!»
«Quanto sei cretina».
Ridiamo. Il giorno è finalmente arrivato, la strada è sempre vuota. Comincio a desiderare l’odore di altro caffè sotto al mio naso.
«Sei importante per me, poeta» dice lei così, improvvisamente. Sorrido: avevo bisogno di sentirmi meno solo, tra la strada e l’alba.
«Anche tu, non sai quanto»
«Come un’alba che illumina la strada quando hai finito il giro?»
«Come un’alba che illumina la strada quando ho finito il giro, assolutamente» ripeto ridendo, «e potrai sempre contare su di me, anche quando il sole non illuminerà un cazzo. Piuttosto vengo da te e camminiamo insieme, schiena contro schiena, chiappa contro chiappa, mani nelle mani»
«Guarda che se dici così ci conto e finisce che ti chiamerò sempre più spesso la mattina, allo scoccare dell’alba»
«Per me va bene. Allo scoccare dell’alba. Perfetto»
«Ottimo allora. Così magari lo guardiamo insieme il panorama, che si nota meglio. Se non siamo soli facciamo attenzione a più particolari, no?»
«Non l’avevo mai vista così»
«Tipo quando siamo al cinema e ti rompo le palle sui dettagli che tu puntualmente non noti»
«Mh. Ha senso»
«E meno male!»
«Oi… senti io sono arrivato al bar, prendo i caffè e scappo al forno prima che mi chiama di nuovo il collega… appena stacco passo, ok?»
«Ok, poeta de mi corazón
«A dopo, scema».
Attacco.
Parcheggio.
Scendo.
«Sette caffè da portar via per favore».
Pago.
Salgo sul furgone.
Metto in moto.
Squilla.
«Ao»
«Ao, ‘ndo stai?»
«Per strada!»

Andrea Abbafati

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