RacCorto n. 2 – Quarantine Mood

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«Be’? Come va questa modalità quarantena?».

Oh, io mica lo so come si risponde a una domanda del genere. Nonostante questa sia la seconda quarantena che mi faccio, ancora non l’ho capito.
«Bene, grazie»? Perché comunque, oh, potrebbe sempre andare peggio?
«Mamma mia, uno schifo»? Perché comunque, oh, avrò il diritto di rompermi i coglioni come più penso sia coerente con la mia personalità e lamentarmene?

Come detto: non lo so. Certe volte rispondo ironizzando, altre mi salvo parlando del tempo.
Comunque mai nessuno che ti chieda: «che stai facendo in questa quarantena?». O anche: «cos’hai capito in questa quarantena?».
Ecco. A queste domande saprei rispondere. Soprattutto alla seconda.
Per esempio ho capito che la gente disposta a presentarsi a casa tua per portare la spesa da asporto è poca, meno di quanto avresti creduto, e di mezzo spesso non ci sta nessuno che conosci da una vita. Quelli hanno da fare con lo spettro della monotonia e dell’abitudine ai quali li hai sempre abituati e con le quali hai sfamato il loro ego. Ergo, è colpa tua. Ah, spesso questi fedelissimi non sanno neanche che stai in quarantena e quale dei tuoi cari si è beccato il Covid. Per dire. Vivono di riflessi: se non li avvisi tu o non ti fai vivo, loro pensano vada sempre tutto bene. Tutto ok. Tutto appo’. Alla grande, fra’.
Poi ho capito che tutti i viaggi che mi sono fatto da bambino erano sbagliati. Cioè, avevo i biglietti giusti ma i treni erano proprio altri. Gli aerei? Seee. Figuriamoci. Soffro di vertigini (l’ho scoperto a ventotto anni), quindi mi sono sempre accontentato dei mezzi terreni. Comunque, nel senso: ho sempre sognato di battezzare il figlio o la figlia della mia amica più cara. Mi sono sempre immaginato col vestito firmato al matrimonio di quello che ho sempre chiamato fratello, e calcolate che io sono uno che si veste elegante solo per le occasioni importanti. Tipo che l’abito lo compro il giorno prima. Cose così. Ho sempre creduto nel gruppo, ma poi mi sono accorto che “gruppo” è una parola mutevole: una sera ti ritrovi a bere birra assieme a dei dispersi come te, mentre il giorno dopo ti ritrovi nuovamente da solo, alla ricerca di qualche altro disperso. Come te.
Niente dura. Puoi scrivere “per sempre” sulle foto tranquillamente, ma rimarranno probabilmente solo loro. Loro e la polvere.
Oh! Sia chiaro: non voglio fare il pessimista o il catastrofista. Anzi. Paradossalmente scrivendo questa roba mi sento meglio. Perché? Perché ho accettato il cambiamento. Ho lasciato entrare dentro di me l’accettazione dell’impossibilità di portare rancore per cazzate di dieci anni fa (se non di più). Ho capito che ognuno c’ha la vita sua e che non esistono fili così grandi da legare le esistenze di tutti per giocarci al teatrino. Grazie a Dio.
Certo, ammetto che certe volte mi manca tutto, specie durante queste quarantene maledette dove il pensiero ti si fissa solo su un punto e da lì non si schiodano più. E il punto nel novantanove per cento dei casi è negativo. Mi mancano i bar in cui mangiavamo qualcosa, i viaggi insieme, i pomeriggi a non fare nulla. Mi mancano le feste, gli spettacoli, le prove a tutte le ore e le notti insonni.
Che poi, voglio essere sincero: non è tutto così perfetto. Certe volte mi crogiolo ancora sul letto, lo sguardo perso fuori dalla finestra pensando di aver sbagliato tutto, di odiare tutti e di non sapere dove sbattere la testa. Certe sere vorrei bruciare tutte le lettere, tutte le foto, tutti i ricordi in pratica. Però sto fermo, respiro, cerco di non farmi prendere dal panico e… semplicemente passa.
Perché è così. È una cosa naturale che va allenata. È una continua lotta tra il bene e il male. Tra il bianco e il nero.
È quando scopri che combatte pure il grigio, però, che un po’ ti salvi.

Andrea Pepi Abbafati

2 risposte a “RacCorto n. 2 – Quarantine Mood”

  1. A volte mi impressiona riconoscermi così tanto nelle cose che scrivi. Dall’accettazione al rendersi conto che il panta rei non è un modo di dire, che il gruppo è come uno stormo con uccelli sempre diversi e che la solitudine fa tanta paura quanto ne senti la necessità. Mi che il bianco ed il nero alla fine sono solo un grigio che va sfuma, un po’ come la maschera di Rorschach che mutava in continuazione, sempre uguale ma sempre diversa… Comunque grazie a Dio o chi per lui esistono ancora persone come te che sanno usare le parole e sanno guardarsi e riconoscersi in uno specchio con tutti i capelli, la barba ed i pensieri fuori posto…

    1. Ho letto soltanto ora questo commento (scusa, ho la nomina del ritardatario anche sui social!) e ti ringrazio. Non so se ci conosciamo di vista o di persona, ma ti ringrazio di vero cuore. Veramente. Leggere queste tue righe ha messo un punto positivo alla giornata. Davvero, grazie… per essere così sincero!
      PS. uno dei miei modi di dire preferiti è proprio “Grazie a Dio o chi ne fa le veci”… 😀

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